Qualche settimana fa sono andata in Friuli per seguire Ein Prosit, una manifestazione dedicata, come suggerisce il nome stesso, al vino e all’universo di produttori, cantine e persone di quel territorio, ricco di scoperte. Ma non è di questo che voglio parlarvi, non oggi.
Più volte nei due giorni friulani - nel bel mezzo di un incontro, una degustazione o semplicemente durante un pranzo – ho pensato a quanto siano importanti le parole scelte per comunicare il vino. Non semplice accessorio per una descrizione, ma cruciale strumento per veicolare conoscenza, passione, storia.
Diciamoci però la verità, quanto spesso sentendo parlare di vino ci limitiamo ad annuire a chi riteniamo più esperto di noi, per timore di una brutta figura o di non aver compreso realmente il contenuto del nostro calice? Se non vi è mai capitato, complimenti vivissimi.
Più di una volta mi sono trovata ad ascoltare, con un contemporaneo senso di ammirazione e inadeguatezza, discorsi su sentori di tabacco e sottobosco, tannini, acidità, foglia di pomodoro. E come dimenticare la mitica fermentazione malolattica?
In effetti, tecnicismi e conoscenza approfondita sono necessari per un dialogo proficuo tra addetti ai lavori, ma non sono convinta lo siano altrettanto per raggiungere chi il vino lo apprezza e magari da buon appassionato s’informa e prova, pur non essendo un esperto.
Sento di includermi in questa categoria, quella degli amanti-aspiranti conoscitori-consapevoli ignoranti.
Ho bisogno di condividere il linguaggio di chi vuole parlarmi del vino che produce, ho bisogno di emozionarmi ancora prima di stappare la bottiglia, di immaginare una storia e, se possibile, incontrare le persone che contribuiscono a crearla. Io sono per le sinergie, per gli incontri fortunati, le coincidenze riuscite. Convinzioni che sento ancor più radicate in me dopo l’esperienza della #miglioreannata.
Potrei dirvi che #miglioreannata è stata una cena che ha coinvolto alcuni produttori di vino insieme a giornalisti e blogger e che durante la serata passata insieme abbiamo cenato degustando i vini delle aziende presenti. Sarebbe una descrizione corretta ma non esaustiva. Qualche settimana prima della cena, infatti, ho ricevuto un pacchetto contenente una bottiglia vuota e l’invito a riflettere su quale fosse la mia migliore annata.
Ci ho pensato su (neanche troppo però) e ho trovato il mio anno speciale
2010.
Parigi, io e Lui.
Amicizie in altre lingue, profumo di pane e burro salato.
Energia, sorrisi, pensieri positivi, boeuf bourguignon e parmigiana.
Parole fitte fino a tardi la sera, parole in un nuovo spazio virtuale che non avrei mai immaginato diventare per me così prezioso.
Una pancia tonda e scalciante a rendere perfetta la mia #miglioreannata.
Condivisa l’annata ho atteso per capire a cosa servisse quel momento di riflessione personale. Dopo qualche giorno, io e gli altri invitati alla cena abbiamo scoperto di essere stati abbinati a un produttore e in particolare a un suo vino.
Il Cicinis di Attems il mio abbinamento, che si è rivelato subito indovinato.
Del Friuli Venezia Giulia, e dei suoi vini bianchi in particolare, sono un’estimatrice da quando ho incontrato il mio chef. È lui che mi ha fatto conoscere questa regione, insieme torniamo spesso a trovare amici che vivono lì e ogni volta ne approfittiamo per lanciarci in piccole esplorazioni che non ci hanno mai deluso. Essere associata a questa regione, una positiva casualità, mi ha messo ancora più curiosità sulla cena.
Quella sera, attorno a un imponente tavolo, eravamo una ventina e ogni produttore nel corso della cena ha potuto raccontare il vino che avevamo nel bicchiere. In quel momento, però, molti hanno scelto non solo di spiegare tecnicamente cosa stessimo bevendo, ma anche di condurci per mano tra i vigneti per lasciarci immaginare da dove quel vino arrivasse e la storia che lo aveva portato nel nostro calice.
Il Cicinis, per esempio, si chiama così perché il Sauvigno Blanc con cui è vinificato arriva da un solo vigneto che si trova proprio sulla collina Cicinis nel Collio, terra di confine con la Slovenia. Daniele Vuerich, l’enologo di Attems, è un giovane entusiasta ed esperto che ha viaggiato e fatto esperienza in tutto il mondo per poi tornare nella sua regione a “fare vini”. Attraverso le sue parole abbiamo potuto immaginare la collina battuta dai venti e cercato di ritrovare nei sentori di Cicinis i profumi della doppia vendemmia che caratterizza questo vino: la prima, precoce, inizia ad agosto e la seconda, tardiva, si fa nella seconda decade di settembre. Abbiamo riso a sentir parlare delle “uova”, che altro non sono che vasche di cemento in cui parte del vino è affinato prima di essere imbottigliato. Beh, queste vasche hanno proprio la forma di un uovo.
Scheda tecnica alla mano, potrei dirvi anche che la doppia vendemmia, l’affinamento in barrique e in cemento conferiscono mineralità ed equilibrio al Cicinis. Per me è un vino elegante, che esprime pienamente la terra da cui arriva e che si presta ad abbinamenti gastronomici non banali (sono convinta che sia perfetto con il foie gras e medito sperimentazione a breve).
Quella sera, con Daniele e con tutti gli altri presenti, è stato bello parlare, fare domande e rispondere a curiosità su quello che facciamo, su cosa voglia dire per noi bere un buon vino, su come abbiniamo un vino a un piatto (o viceversa…).
Interesse, disponibilità, semplicità che si traducono in un linguaggio accessibile, chiaro e spontaneo. Un linguaggio che cristallizza le sensazioni, aiutandole a trasformarsi in veri e propri ricordi, capaci di saltar fuori a distanza di tempo e in luoghi inimmaginabili prima. Io credo che è proprio a questo tipo di ricordi che i produttori di vino dovrebbero puntare, lavorando ancor di più sulla scelta delle parole usate per comunicare all’esterno.
Vivide, emozionanti, chiare.
Di parole così non ne sento spesso, ma solo le parole del vino che vorrei. E voi?
Parola d'ordine auto ironia quando si parla di vino, oppure parlarne attraverso le situazioni, le emozioni, le persone. La foglia di pomodoro esiste dentro un sauvignon, ma non è detto che tutti debbano sintonizzare le proprie mucose sulla salvia invece che sulla foglia di pomodoro.
RispondiEliminaAuto ironia, proprio come sto leggendo qui, da chi ne sa molto ma si rende conto di quanto può diventare divertente rileggere tratti di recensioni sul vino che prendono profili al limite del grottesco : enjoy sul blog di Fabio Rizzari, co curatore della Guida Vini de L'Espresso.
http://vino.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/11/10/perle-2015-la-selezione-definitiva/
Articolo davvero ironico, grazie per la segnalazione che oggi calza a pennello!
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